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I rintanati

Gli adolescenti al tempo del COVID e i loro genitori

Nell’adolescenza il contatto fisico con i pari, la creazione e la partecipazione al gruppo, l’identificazione con l’appartenenza a un contesto di strette relazioni amicali con i pari, sono sempre stati elementi fondanti di questa tappa dello sviluppo che abbraccia la fascia dai 10 ai 19 anni. Succede invece, in questa pandemia, che una delle regole necessarie per limitare la sua propagazione sia quella del distanziamento sociale. Esso ha richiesto la limitazione o la completa sospensione dei contesti in cui un adolescente possa vivere l’esplorazione del mondo reale (e non virtuale), agganciato alla scialuppa della propria compagnia di amici.

Prima del COVID-19 l’esclusione dal gruppo era dovuta a fenomeni di bullismo o di volontario evitamento dei rapporti con i pari (vd. il fenomeno degli hikikomori, che scelgono con consapevolezza l’isolamento sociale) e dunque riguardava una particolare e vulnerabile tipologia di adolescenti, più ristretta. Con la comparsa del virus, invece, la recisione dei legami fisici e la riduzione degli incontri con i coetanei ha coinvolto l’intera popolazione dai 10 ai 19 anni.

Gli attuali effetti psicologici di tale situazione sono svariati; quello che ancora non si conosce è quali possano esserne gli effetti sul lungo periodo.

La ricerca ci dice una buona notizia a riguardo. Le conseguenze psicologiche negative della pandemia possono amplificare il disagio degli adolescenti che anche in assenza della pandemia lo avrebbero avuto (il che significa che per la maggioranza degli adolescenti il rischio di sviluppare un disturbo psichico è ridotto). Inoltre, dai 10 ai 19 anni, sembrano aver risentito della situazione gli adolescenti più “anziani” (anche oltre i diciannove anni, che erano pronti per gettarsi nel mondo adulto ma si sono spaventati dall’incertezza economica, lavorativa e familiare con cui guardano al futuro), che dovrebbero disporre di più risorse rispetto a chi è appena uscito dall’infanzia per affrontare la vita.

Che cosa possono farei genitori? Forse continuare a fare quanto già attuato nell’ultimo anno, visto che la maggior parte dei ragazzi riconosce nella famiglia una grande risorsa del proprio benessere.

Quando un genitore si deve preoccupare e pensare di intervenire? Il malessere, la noia, l’apatia, l’irrequietezza, la tensione, la preoccupazione, la difficoltà di concentrazione, dicono gli scienziati, sono normali.

Un genitore dovrebbe chiedere aiuto quando si accorge che il livello della sofferenza supera in modo importante un ecologico livello di malessere. In particolare, sono state evidenziate particolari aree in cui il disagio può esplodere e credo che possa essere utile un continuo monitoraggio delle stesse, per coglierne l’eventuale variabilità o accentuazione.

Tra le aree di manifestazione di una salute mentale compromessa si identificano quelle legate a stati d’ansia particolarmente accentuati e invalidanti, una forte paura del contagio con la conseguente emissione di comportamenti volti al controllo e alla pulizia, stati di tristezza continuativi, che privano della voglia di fare qualsiasi cosa, dismorfofobia, ovvero la paura e il rifiuto dell’immagine di sé, che non si riesce ad accettare (immagine a cui si è costantemente esposti, molto più di un anno fa, quando si sta in videochiamata), gaming disorder (ovvero la dipendenza da videogiochi, chat e social), disturbi del sonno (dovuti ad una inversione del ciclo sonno veglia, la difficoltà ad addormentarsi, il sonno disturbato), disturbi alimentari (in particolare, un aumentato accesso al cibo come modalità di gestione delle emozioni).

Un discorso a parte, legati agli effetti del COVID sul benessere mentale, andrebbe poi fatto relativamente ai giovani che del virus si sono ammalati o che hanno visto i propri cari ammalarsi, e che hanno vissuto l’attesa di un tampone finalmente negativo nella paura, magari, di infettare i propri affetti e nella completa impossibilità di uscire di casa. In questi casi, è possibile che un adolescente sviluppi i sintomi del disturbo da stress post traumatico.

Sembrerebbe quindi che, a parte alcuni giovani che già erano prima vulnerabili psicologicamente, siano più frequenti i casi in cui il malessere non è diventato patologia, ma solo uno stato di difficoltà tollerato dai più. E infatti sono tanti i ragazzi che si stanno comportando responsabilmente, non scegliendo il conflitto con gli adulti o la contestazione delle regole. Sembrerebbe che il livello di conoscenza di quanto sta accadendo e l’attuazione di comportamenti per ridurre l’esposizione al virus stiano dando agli adolescenti un atteggiamento ottimistico nei confronti di quello che verrà, dando loro l’idea che, quando la pandemia cesserà, sarà tutto per loro più sopportabile e, dunque, l’idea che questa esperienza li ha fortificati e resi più maturi.

Occorrerà osservare negli anni se questa generazione sarà davvero più responsabile e matura di quelle che le hanno precedute o se, da grandi, avranno nostalgia di un’adolescenza poco vissuta e, dunque, incominceranno a viverla da canuti.

Di tutti questi temi, la dottoressa Gaia Vicenzi parlerà con i genitori in un incontro su zoom il 2 febbraio alle ore 18.30. Chi fosse interessato scriva a gaiavicenzi@gaiavicenzi.com o si colleghi al link https://us02web.zoom.us/j/6590859927